“ Io proprio non capisco, ho affrontato situazioni difficilissime nella mia vita e non ho avuto bisogno di aiuto, adesso per una relazione finita non ce la faccio a reagire”.

Ho sentito spesso esprimere dai pazienti questo pensiero auto-giudicante, quasi come a voler giustificare l’imbarazzo di portare in terapia una problematica legata alla vita romantico-sentimentale.

Ciò che un terapeuta ascolta non è tanto il “soffro per amore”, quanto il “soffro”, poiché il dolore non ha bisogno né di essere giudicato né di essere classificato.

Una cosa assolutamente naturale è che la stessa persona possa affrontare le difficoltà della vita, di volta in volta,  in modo completamente diverso, può in un momento accedere facilmente alle proprie risorse interiori di reazione-risoluzione, può in un altro momento far fatica ad accedere alle stesse risorse di reazione-risoluzione.

Le sue risorse sono forse sparite? Assolutamente no, sono bloccate, e le cause sono molteplici e soggettive.

Il lavoro terapeutico diventa dunque sia smuovere e riattivare le risorse bloccate, sia accogliere i messaggi che i sintomi raccontano per sciogliere i nodi emotivi che viceversa non avremmo avuto modo di vedere.

Dunque il dolore si piò sempre trasformare in opportunità di crescita ed evoluzione interiore.

Quando si parla di mal d’amore?

Si usa questa metafora letteraria nel momento in cui la sintomatologia percepita include sentimenti di tristezza, angoscia e labilità emotiva, con un irradiamento a manifestazioni del corpo quali dolori al petto, alterazioni del ritmo sonno/veglia , dell’appetito, e talvolta anche delle attività quotidiane.

Ovviamente ciascuna persona può percepire sfumature, intensità e durata molto differenti dei suddetti sintomi.

La sensazione che si prova quando termina una relazione si avvicina a quella del lutto, poiché viene meno la dimensione nel “noi” e si ritorna alla sola dimensione dell’”io” (che non dovrebbe essere mai accantonata, neanche durante una relazione, ma qui si aprirebbe un ampio capitolo a parte).

Come ogni fenomeno dell’esistenza umana anche la vita di coppia è un processo, un continuo divenire il cui cambiamento si costituisce attimo dopo attimo e può portare sia alla trasformazione sia all’estinzione  della coppia stessa, ed è proprio dinanzi a questo ultimo caso, ovvero alla rottura di una relazione di coppia, che ci si deve ricordare che per quanto sia una esperienza difficile e dolorosa non può e non deve segnare un punto di non ritorno rispetto al benessere personale, occorre cioè aiutare la persona ad incrementare la consapevolezza del suo esistere, nonostante il dolore e sia pure tra momentanee difficoltà, potenziando ulteriori ambiti di interesse e gratificazione.

Quando il mal d’amore si avvicina al disordine emotivo?

Un ulteriore sviluppo di sintomi ansiosi ed ossessivi ci racconta invece che siamo di fronte ad una idealizzazione eccessiva dell’altra persona, ad una dipendenza dalla stessa che diventa così totalizzante da impedirci di dedicarci ad altro, e culmina con l’agire comportamenti irrazionali e di controllo sull’altra persona, ben lontani da un sentimento sano e maturo.

Ciò può avvenire non solo quando una relazione finisce, ma anche durante il suo sviluppo, influenzando negativamente lo stesso rapporto.

Il primo campanello di allarme è lo sperimentare un continuo senso di abbandono e di ansia, il quale è lì per dirci che non siamo in una relazione sana e che è utile lavorare sul proprio stile di attaccamento (lo stile delle prime relazioni ha un’influenza notevole sull’organizzazione precoce della personalità e sulla rappresentazione che il bambino avrà di sé, degli altri e delle relazioni, compresa la relazione di coppia. Gli studiosi dell’età evolutiva hanno condotto ampie ed approfondite osservazioni in proposito correlando gli stili di attaccamento madre/bambino con gli stili nelle relazioni di coppia) e sulla propria autostima, in modo da incrementare la consapevolezza dei nostri errori interpretativi, di come essi siano influenzati da emozioni irrazionali di cui probabilmente non ci siamo mai occupati e sperimentare dunque il modo per gestire il vuoto abbandonico, senza essere direzionati nei comportamenti dallo stesso.

Obiettivo della terapia è giungere ad una concezione più profonda e consapevole dell’amore e della psicologia ad esso legata, per amare in modo saggio e sano liberandosi dai processi di ossessione e dal rischio di scivolare nella dipendenza affettiva.

Ancora una volta l’obiettivo è rimettersi alla guida della complessa macchina che siamo noi stessi, non è il posto passeggero quello che ci è stato assegnato.

Bibliografia:

  • “Filosofia dell’amore”, Luciano Sesta, 2019.
  • “Cuori spezzati, guarire dalla perdita di un amore”, Ginette Paris, 2012.
  • – “Abc Gestalt”, Mariano Pizzimenti, Luca Rivetti.

Sitografia

  • Istituto Gestalt Firenze, “La vita di coppia: il legame d’amore tra attaccamento e autonomia”

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