Cosa è traumatico e che ruolo può avere la psicoterapia?

Si parla di trauma quando un soggetto si trova a vivere una situazione o più situazioni ripetute in cui si percepisce impotente e privo di una via di fuga. Quando trattiamo il trauma occorre fare un distinguo tra eventi traumatici circoscritti che presentano la sintomatologia descritta nel Disturbo da Stress Post-Traumatico secondo la classificazione del DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), e traumi prolungati nel tempo come sono i traumi relazionali complessi. In questa categoria possono rientrare storie di sfruttamento sessuale, abuso, maltrattamento, campi di concentramento, ma anche abuso emotivo, trascuratezza, violenza domestica assistita. Dunque si può parlare di sviluppo traumatico complesso per descrivere quelle condizioni in cui un bambino è costretto a vivere continui comportamenti maltrattanti e abusanti da parte di chi si prende cura di lui. Per questo anche la trascuratezza, il non prendersi cura dei bisogni fondamentali del bambino è traumatico, in quanto costituisce una minaccia per la sopravvivenza. Tra i bisogni fondamentali per lo sviluppo sano dell’uomo rientrano:

  • I bisogni fisiologici (fame, sonno/veglia, escrezione);
  • I sistemi di attaccamento/affiliazione si riferisce al bisogno innato di entrare in relazione, in un primo momento il bambino con il caregiver, ovvero chi si prende cura di lui e poi man mano attraverso il contesto familiare e sociale;
  • Il sistema esplorativo/assertivo spinge il bambino a esplorare l’ambiente circostante, inizialmente con l’aiuto del caregiver successivamente sempre più in autonomia. Tale bisogno è fondamentale per la formazione del senso di efficacia personale.
  • Il sistema avversivo è una modalità di risposta del bambino difronte a interazioni antagonistiche e difronte alla mancata soddisfazione di altri bisogni.
  • Il sistema sensuale/sessuale contribuisce a sviluppare un se volitivo e in grado di desiderare, l’uno in risposta alla riduzione di uno stato interno di tensione, l’altro volto ad un incremento della stimolazione fisica

Quando la relazione del bambino con il caregiver funziona, il piccolo sperimenta una condizione di sicurezza, grazie alla quale impara a conoscersi e ad esplorare l’ambiente circostante. Pertanto la madre dovrebbe essere in grado di connettersi con i bisogni del bambino e riparare le normali rotture nell’interazione. Sulla base di queste interazioni il bambino genera dei modelli di chi è l’altro, il mondo e di come sta nella relazione, che Bowlby aveva definito Modelli Operativi Interni (MOI). Bowlby successivamente teorizzò anche l’esistenza dei MOID ovvero dei modelli operativi interni disfunzionali che si formerebbero quando la relazione non assume quei connotati di sintonizzazione e responsività citati sopra, ma può assumere uno stile di attaccamento definito disorganizzato che sembra essere alla base dello sviluppo traumatico. Tale stile di attaccamento si instaura quando il caregiver è fortemente trascurante, maltrattante, dal comportamento imprevedibile e incoerente, cosi che il bambino si trova nelle condizioni di ricercare il conforto e allo stesso tempo percepire il pericolo dalla stessa persona.

In questi casi in età adulta il richiamare alla memoria eventi personali diviene problematico a causa di una divisione e non comunicazione reciproca dei diversi settori da cui essa è costituita. Si parla appunto di esclusione difensiva quando i sistemi di memoria episodica (sistema in grado di immagazzinare informazioni ed eventi in merito a situazioni che avvengono in un determinato arco temporale)
e semantica (si tratta di informazioni episodiche deprivate dalle coordinate spazio-temporali per divenire il patrimonio di conoscenza generale sul mondo del soggetto)
vengono tenuti separati. Questo perché, le esperienze emotive traumatiche rimangono non elaborate a un livello cognitivo, le quali però emergono al livello implicito all’interno della relazione terapeutica, che dovrebbe avere lo scopo di condurre il paziente a sviluppare consapevolezza sul proprio funzionamento. Attraverso la relazione terapeutica, il paziente ha l’opportunità di venire in contatto con parti del sé invalidate, minacciate all’interno delle prime esperienze relazionali.

In una sana maturazione cerebrale le informazioni emotive e relative agli stati corporei vengono elaborate dall’emisfero destro del cervello e poi trasmesse all’emisfero sinistro che si occupa dell’elaborazione semantica. Invece ciò che accade in storie di attaccamento traumatico è che questi due emisferi del cervello rimangono dissociati e non in comunicazione tra loro come normalmente accade, permettendo l’attivazione non regolata di strutture sub corticali collegate a sistemi di risposta di fronte a minacce di tipo impulsivo e aggressivo. In altri termini l’attaccamento disorganizzato rimarrebbe in uno stato di elaborazione sub-simbolico, immagazzinato nella memoria implicita (forma di memoria a cui non possiamo accedere consapevolmente che racchiude esperienze non elaborate al livello cosciente, neppure verbalizzabili).

Il focus della psicoterapia è quello sul mondo emotivo, ovvero comprendere e modulare insieme al paziente le sue emozioni per aiutarlo a fare un’esperienza di validazione di esse, di prendere coscienza di parti di sé fino a quel momento non considerate per restituirgli un senso di sé solido. È possibile anche individuare la psicoterapia come opportunità attraverso la quale il paziente si riappropria della consapevolezza all’interno di una dimensione interpersonale, dunque insieme al terapeuta può costruire un nuovo scenario affettivo in cui esplorare le problematiche del passato, le sue implicazioni nel presente e la possibilità di strade alternative da percorrere (Ivaldi, 2004; 2009). La psicoterapia diviene anche lo spazio di scoperta dei modelli operativi interni del paziente, di quelli soprattutto che sono alla base della psicopatologia.

BIBLIOGRAFIA

Albasi C. (2006). Attaccamenti traumatici. I Modelli Operativi Interni Dissociati. Novara: Utet.

Bowlby J. (1988).  A Secure Base, Routledge, London (Trad.it.: Una base sicura, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1989).

Fink G.R., Markowitsch H.J., Reinkemeier M., Bruckbauer T., Kessler J. e Heiss W.D. (1996). “Cerebral representation of one’s own past: neural networks involved in autobiographical memory” Journal of Neuroscience, 16: 4275-82.

Ivaldi A. (2004). “Il Triangolo Drammatico: da strumento descrittivo a strumento terapeutico”, Rivista cognitivismo clinico, vol. 1, n. 2: 108-23.

Ivaldi A., Foggetti P., Aringolo K. (2009). Disturbi di personalità e relazione: giochi polifonici tra le parti. Linee di sviluppo e modelli di intervento. Milano: Franco Angeli.

Ivaldi A. (2009). “Two session rooms for therapy: a combined outpatient psychothesis”, GROUP. The Journal of the Eastern Group Psichotherapy Society. USA: Concord Editorial and Design Alto, MI.

Liotti G. Farina B. (2011). Sviluppo traumatici: Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa. Milano: Raffaello Cortina Editore.

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