Che cos’è il disturbo depressivo?
Nel Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali, DSM-5, la depressione è considerata, un disturbo dell’umore, che comporta perdita di interesse o piacere per le comuni attività della vita.
Tale disturbo è caratterizzato da un sentimento di tristezza più o meno marcato, a cui si associa una riduzione dell’autostima, irritabilità, senso di vuoto e un’incapacità a proiettarsi verso il futuro.
Il disturbo depressivo continua ad essere oggi, la malattia mentale più diffusa al mondo e in costante crescita. Ogni anno si ammalano di depressione quasi 322 milioni di persone e di questi circa 1 milione si toglie la vita. La metà di queste persone vive in Occidente e in Asia Sud Orientale e le fasce di popolazione maggiormente colpite sono quelle a reddito medio-basso.
I fattori di rischio suicidario
Tra le persone depresse la probabilità di suicidio è molto alta. Secondo i dati ISTAT, nel 2015, tale disturbo è stato la seconda causa di morte nel mondo dei giovani tra i 15-29 anni. Per questo motivo esso è riconosciuto e classificato tra le prime venti malattie fatali per l’essere umano.
I fattori di rischio suicidario possono essere diversi e vari. Secondo le Linee Guida Internazionali – APA 2016, tra i principali fattori troviamo: l’appartenenza al sesso maschile ( i comportamenti suicidari sono più frequenti tra le donne depresse, ma i tentativi portati a termine sono più numerosi tra gli uomini depressi); la presenza di ideazione suicidaria; storia e serietà dei precedenti tentativi; la disponibilità di mezzi per suicidarsi; presenza di grave ansia, attacchi di panico, agitazione e impulsività, presenza di sintomi psicotici; uso e abuso di alcol o di altre sostanze; storia familiare di suicidi o recente esposizione al suicidio; il ritiro sociale, la solitudine, il senso di disperazione e la presenza di malattie mediche terminali.
Quando la tristezza diventa depressione?
La tristezza è un’emozione che ci segnala un senso di perdita: la perdita di una persona cara, di una relazione, di un ideale, di un lavoro, di una visione di sé stessi o degli altri. È un’emozione che determina un momento di ritiro e di riflessione, che sottrae energia per intraprendere successivamente nuove esperienze. Ciò consente di fissare l’attenzione su ciò che abbiamo perduto, riflettere e comprendere il significato dell’accaduto, di adeguarci psicologicamente alla perdita, di elaborare un lutto e prendere atto della perdita. E’ un processo necessario di adattamento a ciò che viene meno, alla fine del quale si ritrova la forza per affrontare nuovi progetti e nuove situazioni.
Quando lo stato di tristezza si trasforma in un senso di perdita sempre più generalizzato e persistente, alimentato da una visione negativa di sé, degli altri e del mondo, che riguarda il presente, il passato e il futuro, può sfociare in una dimensione depressiva vera e propria e rappresentare un campanello d’allarme.
La persona in questo caso, tende ad essere sempre più condizionata dalla percezione del proprio stato emotivo e dalle limitazioni che esso comporta, attivando un circolo vizioso che si autoalimenta e si mantiene, determinando disperazione, passività, senso di incurabilità e di faticabilità, tali da compromettere la vita della persona.
Quale trattamento possibile?
La combinazione del Trattamento Farmacologico con la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale sembra determinare buoni risultati. Alla base della Terapia Cognitiva Comportamentale vi e’ una relazione terapeutica di fiducia tra paziente e terapeuta: tale relazione non è usata semplicemente come strumento per alleviare la sofferenza, ma come un modo per favorire lo sforzo comune di realizzare obbiettivi specifici. Il terapeuta aiuta il paziente ad organizzare il pensiero e il comportamento, a modificare le cognizioni e gli schemi disfunzionali che si fondono su atteggiamenti e convinzioni nati dalle esperienze precedenti, per permettergli di affrontare le esigenze del vivere quotidiano e uscire piano piano dallo stato emotivo persistente di tristezza e passività.