E’ la storia di Viola quella che voglio raccontare qui, una storia di disagio, di emarginazione, di tristezza e di ansia sociale. Durante il primo colloquio, Viola appare curata nell’aspetto, introversa, in imbarazzo ma al tempo stesso desiderosa di farsi conoscere per trovare una soluzione al suo disagio. Le chiedo che cosa l’abbia portata a rivolgersi ad uno psicoterapeuta e lei, timidamente, mi racconta il suo problema.
“Non riesco a conversare serenamente con le persone che mi conoscono poco, non familiari… Quando sono con loro mi sento agitata, le parole si bloccano, mi sento impacciata e all’improvviso percepisco alcuni sintomi fisici. Sento calore sul viso, divento rossa, la sudorazione aumenta e sento il battito cardiaco sempre più accelerato. Questi sintomi sono presenti anche adesso che sto parlando con lei”.
Mi racconta di quanto tutto ciò sia invalidante per la sua vita e riconosce il suo problema come causa scatenante di numerosi litigi con il marito.
Vorrebbe poter trovare una soluzione e comprendere le ragioni di questo suo malessere per poter tornare ad essere sé stessa, a vivere serenamente la sua relazione di coppia e quelle sociali. Iniziamo così, ad esplorare insieme i suoi vissuti di ansia e le chiedo di rievocare il primo episodio in cui i sintomi si sono presentati.
La prima volta in cui le è successo Viola ricorda di trovarsi a lavoro, spiegava qualcosa al suo cliente quando nel giro di pochi secondi ha percepito calore sul corpo, aumento di salivazione e formicolio.
Improvvisamente si è vergognata nel provare queste sensazioni ed è scappata nella stanza accanto, lasciando il suo cliente da solo. Nei minuti successivi, Viola scoppia a piangere e viene assalita da pensieri del tipo: “E se il mio cliente ora pensasse che sono una stupida? E se avessi fatto una brutta figura, che cosa penserebbe di me?”
Da quel momento in poi, le relazioni necessarie implicate ad esplicare il suo lavoro sono diventate per lei fonte di profonda preoccupazione e disagio. Per paura di rivivere quegli stessi attimi, nel tempo ha imparato a mettere in atto dei comportamenti protettivi caricando di maggiore responsabilità la sua collega che sembra sostituirla nei momenti in cui lo studio di consulenza è aperto al pubblico. Nell’ambito lavorativo Viola tende dunque a delegare le prestazioni sociali, mentre in ambito familiare e amicale tende a mettere in atto degli evitamenti che spesso sono fonte di conflitto coniugale.
Raccontandomi di sé, si considera una persona timida e riservata fin dalla sua infanzia; mi dice di aver avuto poche amiche ma fidate e che nella sua fanciullezza “tutto è stato normale”. Esplorando in profondità anche questi ricordi, pian piano, ricomponiamo i pezzi del suo puzzle: Viola racconta un’infanzia e un’adolescenza caratterizzate da molte privazioni sociali a causa della sua religione: ricorda che a scuola, durante il momento della preghiera era costretta ad uscire fuori dalla classe, che non le era concesso partecipare alle feste di compleanno dei suoi compagni e di frequentare persone al di fuori della religione di appartenenza per motivi di svago e ricreativi.
Da “tutto è stato normale”, Viola arriva con i suoi racconti ad affermare che in realtà “tutto è stato diverso”. Quando, a sedici anni, decide di abbandonare la sua religione, viene da tutti allontanata, emarginata ed etichettata dal padre e dalle cugine come “una brutta compagnia”.
Da quel momento, inizia a sentirsi “sbagliata”, “non accettata dall’altro”, “indesiderata” e consolida un’immagine di sé come persona poco piacevole e inadeguata che la porta nel tempo ad intrattenere relazioni sociali caratterizzate da ansia, paura di poter essere giudicata negativamente e a sviluppare dunque un disturbo di ansia sociale invalidante e persistente.
Oggi, Viola ha deciso di affrontare e vincere la sua ansia; comincia ad accettare le situazioni sociali con più serenità dopo aver preso consapevolezza delle caratteristiche del suo disturbo e delle credenze patogene che lo mantengono, grazie anche alle strategie che è riuscita ad apprendere nel suo percorso psicoterapeutico ancora in corso.
L’approccio terapeutico cognitivo comportamentale da lei scelto, attraverso la focalizzazione sui pensieri automatici negativi e attraverso tecniche di esposizione graduale, è considerato uno dei trattamenti più efficaci per il disturbo d’ansia sociale, consentendo la remissione completa dei sintomi.