Immagina di stare di fronte ad una bella piscina in una giornata di sole. La piscina è piena di gente che si gode il bel tempo. Sei in costume a bordo vasca come se fossi pronta a tuffarti e ad unirti altri. In realtà però sei paralizzata dall’indecisione.
Una parte di te vorrebbe saltare dentro e godersi appieno la compagnia degli altri, un’altra parte invece teme l’impatto con l’acqua ghiacciata e ti rende bloccata. Vedi che gli altri si divertono, ridono, saltellano spensierati e tu te ne stai in disparte, sentendoti sola e diversa. Nel contempo inizi a pensare che la gente ti stia fissando e l’ansia aumenta. I pensieri vanno avanti e indietro nella tua testa. Alla fine la paura prevale e decidi di abbandonare la piscina. Provi un sollievo momentaneo, ma ben presto emerge una sensazione di imbarazzo ed isolamento. La tua decisione ha limitato il tuo divertimento, frustrato la tua spontaneità e impedito i rapporti sociali, perché la paura ha preso il sopravvento.
La piscina è un esempio immediato, ma ci sono molte forme diverse con cui evitiamo ciò che ci fa paura. Con l’indecisione, defilandoci, non tenendo fede agli impegni presi, distraendoci con attività insignificanti, prendendo scuse e razionalizzando.
Smettere di evitare ciò che ti fa paura vuol dire prestare attenzione a come ti senti, non nel momento in cui eviti qualcosa, ma nel lungo periodo. L’evitamento offre una tregua temporanea, il sollievo che ne deriva rafforza la tendenza ad evitare. La tregua, però, ha quasi sempre breve durata perché l’ansia cresce a poco a poco fino a prendere il sopravvento. Ciò che ti era apparso come soluzione viene rovinato dai pensieri autocritici sulle conseguenze che potrebbero derivare dal tuo comportamento evitante.
L’evitamento ti dà un senso di protezione a breve termine, ma alla lunga genera un rischio reale e un carico d’ansia maggiore. Vale la pena tenere a mente che il problema fondamentale non è l’ansia, ma il modo in cui rispondi ad essa. Si può arrivare a reagire in modo eccessivo a situazioni o cose che non rappresentano un pericolo reale, ma che vengono esagerate e ciò rende difficile la capacità di affrontare e di credere in sé stessi.
L’evitamento e la fuga diventano una spirale che non si ferma perché è un’abitudine inconscia. Può essere utile identificare coscientemente ciò che si sta evitando, in modo da smettere di farlo in automatico. Quindi sarebbe necessario riflettere sui propri schemi di comportamento evitante ed evidenziare degli indizi che ci fanno capire che si sta schivando qualcosa a cui in fondo si tiene e che ha importanza.
Questi indizi sono:
- dire che farai qualcosa e poi non portarlo a termine;
- procrastinare rimandando un impegno al giorno successivo e poi ancora dopo;
- razionalizzare, fornire scuse e giustificazioni per non aver fatto qualcosa;
- sprecare energia e tempo con pensieri, impegni e relazioni banali per distrarsi da quello che dovresti o avresti bisogno di fare;
- dire spesso agli altri o a se stesso che non ti senti bene e che per questo non puoi fare una determinata cosa.
Anche un comportamento disfunzionale e autodistruttivo persiste o si accentua quando è gratificante, come per esempio il fumare per effetto della dopamina.
È importante identificare cosa rinforza la tendenza ad evitare nonostante il desiderio di porre fine a tale comportamento.
Lo si può fare ponendosi alcuni interrogativi:
- Cosa si ottiene ogni volta che si evita una delle situazioni ansiogene?
- l’evitamento come tregua celebra la vittoria di una premio? Ma chi ha vinto realmente?
- se l’evitamento si è rafforzato vuol dire che non ci si è messi in gioco veramente e non si è mai rischiato il rifiuto, la disapprovazione o il fallimento?
- in quale altro modo l’evitamento potrebbe essere rafforzato?
BIBLIOGRAFIA:
“Psicoterapia cognitiva dell’ansia. Rimuginio, controllo ed evitamento”. Sassaroli,Lorenzini. Raffaelo Cortina Editore.
“Il trauma e la lotta per aprirsi. Dall’evitamento alla guarigione e alla crescita.” Robert T.Muller. Giovanni Fioriti Editore.
“Il manuale dell’ansia e delle preoccupazioni. La soluzione cognitivo comportamentale.” David A. Clark, Aaron T.Beck. Editore Positive Press.