Controllare i sentimenti

Spesso non possiamo fare a meno di scontrarci con i nostri sentimenti e lasciarci travolgere dalla loro natura.

Uno dei lavori maggiormente discussi in terapia riguarda proprio la differenza tra il provare un’emozione e la capacità di intervenire su di essa.
Molti pazienti, ma spesso anche “non – pazienti”, mostrano la tendenza verso un’indebita assunzione di responsabilità delle proprie emozioni, come se i sentimenti fossero dei comportamenti dipendenti da una volontà strutturata, e quindi come se fossero la conseguenza di una scelta, per cui le persone dovrebbero sentirsi in colpa nel provare o non provare una certa emozione.

Quando i sentimenti vengono interpretati attraverso questa modalità, si va incontro ad uno standard impossibile perché ci si aspetta di analizzare in maniera eccessiva i sentimenti di un’altra persona, che sia il partner, un figlio, un parente, un amico, un conoscente. Quando qualcuno o qualcosa sembra irritante, divertente o ripugnante, queste reazioni sorgono spontaneamente.

Non si sceglie di essere depressi e non si può scegliere di essere felici oppure no. Anche l’attrazione sessuale per un tipo di persona, ad esempio, si verifica a prescindere dalla propria volontà.

È pur vero che è possibile temperare gradualmente le emozioni negative, in particolare quelle globali come la depressione e l’ansia, alterando volontariamente il proprio modo di pensare.

La terapia cognitivo-comportamentale si basa su questa idea e in modo ancora più affidabile selezionando situazioni e relazioni che promuovono sentimenti adeguati e maggiormente funzionali.

L’errata convinzione che si possa e si debba avere il controllo delle emozioni provate può portare ad una condanna morale ingiustificata e a vivere la sensazione che avere certi sentimenti sia identificativo di una persona cattiva. Perciò, può essere di fondamentale importanza differenziare il comportamento dai sentimenti interni e dagli stati emotivi. Eppure, è spesso molto faticoso operare questa distinzione, rischiando di sopprimere o negare i sentimenti, spesso in modo imperfetto, per paura di conseguenze derivanti dall’agire proprio in base ai sentimenti stessi.
Coinvolgere un’altra persona per rendere conto in maniera logica dei sentimenti provati può portare ad una tendenza verso l’aggressività e alla percezione che le emozioni siano razionali e sempre controllabili, per cui l’analisi delle stesse dovrebbe svilupparsi in una dimensione di curiosità e non di critica o giudizio.

La curiosità è una risposta funzionale ad una nuova consapevolezza, inclusa la consapevolezza di un’emozione precedentemente non riconosciuta, è come un nuovo pezzo di conoscenza di sé.

Le emozioni nascono nel sistema limbico, i centri cerebrali non verbali e più primitivi che condividiamo con altri animali, e non nella neocorteccia, sede del pensiero razionale. Questo spiegherebbe perché non sempre possiamo nominare o identificare immediatamente un’emozione nel momento esatto in cui viene provata, e perché i sentimenti forti possono temporaneamente inondare o mandare in corto circuito il pensiero razionale.

I sentimenti non vengono scelti, i comportamenti sì e la capacità e responsabilità di esercitare la scelta si manifesta nel momento in cui si decide di agire.

Quando le emozioni non vengono più interpretate come se fossero azioni volontarie, riuscendo a separare i sentimenti dal comportamento, allora può aumentare una visione più profonda e di maggiore conoscenza di sé.

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