“Tutto triste il camaleonte si rese conto che
per conoscere il suo vero colore
doveva posarsi nel vuoto”
(Alejandro Jodorowsky)
Le giornate non iniziano e non finiscono più. Il mondo attuale ci porta in una catena di montaggio sempre attiva e sempre più richiedente. Una richiesta costante di attenzione ed energia fisica e mentale.
Tutto cambia in divenire, a tutta velocità. È un flusso che non arresta il sistema ma lo amplifica e bisogna solo stare al passo.
Dal lavoro, alla scuola, alle professioni, al tempo libero, al business. Tutto richiede una costante spinta sull’acceleratore. Non ci si può fermare. Perché? Cosa intendiamo per “bisogna stare al passo” e per, “non ci si può fermare”.
In tutto questo dimentichiamo che siamo persone, con stati mentali emotivi, fisici e cognitivi. Dimentichiamo che abbiamo bisogno di ricaricare le batterie anche se lo facciamo in movimento.
Il mondo del lavoro in particolare e le nostre relazioni si sono modificate. Richiedono maggiore attenzione su più fronti. Questo significa fare economia del proprio tempo per rispondere in modo appropriato a tutte le richieste che arrivano alle nostre menti. La società attuale richiede costantemente un focus dell’attenzione attivo su più fronti contemporaneamente (leggere email, lavorare ad un progetto, rispondere ad un messaggio o gestire una chiamata imprevista). Dividersi tra richieste urgenti e richieste importanti.
Non si sa più quali siano le priorità e come gestire il proprio tempo e il proprio spazio mentale.
E allora si assiste a due fenomeni: farsi trasportare dagli eventi oppure bloccarsi e chiudersi in solitudine.
Entrambe queste strade, come dicevo, portano a sintomi egodistonici per la nostra salute e autodistruttivi.
Sui lunghi periodi assistiamo ad un vero e proprio cristallizzarci delle nostre capacità che un tempo erano certamente il nostro punto di forza.
Campanelli d’allarme
I primi segnali che qualcosa sta scricchiolando nella nostra vita sono proprio la sensazione di “vuoto da troppo pieno”. Che significa. Significa che siano bombardati di informazioni e richieste che ci riempiono apparentemente ma allo stesso tempo risucchiano tutte le nostre energie mentali e fisiche.
Quello che comunemente chiamiamo stress non è altro che questa sensazione interiore. Sentimenti di inadeguatezza, ansia anticipatoria e abbassamento del tono dell’umore portano le persone che li sperimentano a chiudersi in se stesse. A non trovare nell’altro uno spazio di condivisione e apertura per scoprire una modalità differente di affrontare quanto gli eventi richiedono.
Si ha paura di provare e sperimentare quella sensazione di essere frangibili. Perché la società tutta ci vuole perfetti e di marmo. Ma non è così. Siamo essere umani e per questo mutevoli e bisognosi di stare con noi stessi ma soprattutto di essere ascoltati nei nostri bisogni più intimi.
Pensiamo ad una giornata lavorativa all’interno di un contesto organizzativo che può essere un’azienda oppure l’ambito scolastico oppure ospedaliero. Ormai non c’è distinzione tra ambienti lavorativi. Cambia il contesto interno di specializzazione ma ogni ambiente è diventato multitasking. Se non lo sei, resti indietro. Questo è lo sponsor di chi cerca il personale o indice i concorsi. Una persona deve poter conciliare le conoscenze tecniche con le competenze relazionali, gestire gli imprevisti, rispondere alle richieste provenienti da più canali di contatto nel quale siamo immersi (pensiamo ai social, alle varie modalità di contatto telefonico e video) e condire il tutto con la vita privata altrettanto richiedente.
Tutto questo va bene nel momento in cui sono consapevole del contesto in cui sono inserito e sono consapevole di me stesso, della mia personalità, dei miei punti di forza e di debolezza.
Questa consapevolezza ci deve aiutare a fronteggiare le costanti richieste del mondo esterno e il nostro esistere al mondo.
Non possiamo prescindere dall’essere multitasking oggi. Ma possiamo lavorare su noi stessi per conoscere la nostra natura e poter accogliere o far defluire il flusso di richieste che pervengono alla nostra corteccia.
Siamo stati strutturati geneticamente per sopravvivere e mutarci al mutare del nostro ambiente di vita.
Il multitasking non è altro che la mutazione moderna del mondo del lavoro in primis e dei nostri contesti relazionali.
Mutare rimanendo se stessi
La prima cosa da fare è ascoltare il nostro intimo e cosa ci dice. Dobbiamo tenere a mente che non possiamo cambiare il flusso degli eventi che intervengono nella nostra vita, ma possiamo cambiare il nostro modo di approcciarci ad essi e dare le priorità che fanno stare bene a livello intrapersonale e interpersonale in ogni contesto del quotidiano.
Saper scindere tra richieste urgenti e richieste importanti.
Se ci pensiamo, ogni richiesta che ci arriva è sempre urgente. Anche il trillo del cellulare che ci avvisa di un messaggio in arrivo indica un’urgenza (il trillo appunto). Abbiamo tuttavia, un complesso sistema dell’attenzione a livello neurale che ci aiuta selezionare gli stimoli esterni e dirigere la nostra attenzione sulle richieste che sono importanti e lasciare sullo sfondo le altre (similmente urgenti).
Questo sistema neurale è caratterizzato da due grossi sistemi attentivi.
Il sistema attentivo anteriore (corteccia prefrontale) responsabile dell’elaborazione focale conscia e del monitoraggio del comportamento.
Il sistema attentivo posteriore (corteccia parietale) responsabile per l’orientamento in risposta agli stimoli sensoriali, l’elaborazione dettagliata di oggetti e la focalizzazione della nostra attenzione su specifici punti dello spazio ambientale.
Rendendoci quindi consapevoli a livello cognitivo di quello che accade intorno a noi e rimanere fedeli alle nostre priorità ci permette di accogliere più stimoli contemporaneamente ma elaborarli secondo una classe di importanza.
Arrivare a questa competenza spesso non sembra affatto facile perché il multitasking tende a risucchiare in un vortice e porta a gestire insieme tutte le richieste. Sul lungo periodo, come dicevo all’inizio, la nostra mente sperimenta sintomi ansiosi e depressivi. Sperimenta il blocco e l’inerzia.
Fermarsi, chiedere aiuto, farsi aiutare da un professionista ci permette di sperimentare quel vuoto interiore da cui bisogna partire per riconoscere le proprie priorità, il proprio vero Sé, come un camaleonte appunto.
BIBLIOGRAFIA
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Stablum F, L’Attenzione, Carocci Editore, Roma, 2002