“Perché non fermarsi prima di superare il limite?”

Limiti

Questa domanda mi è stata personalmente posta durante una sessione di psicoterapia in cui io ero la paziente, davanti a me avevo una terapeuta-docente del mio percorso di specializzazione.

Una domanda in apparenza semplice che ha rappresentato il porre il focus attentivo sulla estrema complessità di una dinamica, quella del sottile confine tra il concetto di limite da superare e il concetto di limite da rispettare, che in una società attuale continuamente protesa verso la prestazione a tutti i costi corre il rischio di sbilanciarsi verso la totale esclusione del limite inteso come “linea di confine da rispettare”, tra ciò che è possibile e ciò che non lo è, tra ciò che è reale e ciò che è ideale, tra ciò che è giusto per la nostra evoluzione e ciò che invece risponde ad aspettative culturalmente drogate.

Mi capita continuamente all’interno del setting terapeutico di dover operare un lavoro di bonifica di tale concetto sopracitato, sempre più frequentemente le persone sono convinte di avere l’obbligo di superare qualsiasi limite, intendendo ad esempio la non capacità di gestire lo stress lavorativo e giornaliero come tale, senza porsi minimamente il dubbio che forse non è la loro capacità di gestione ad essere fallimentare ma il livello di stress ad essere eccessivo.

Sembra che l’assetto culturale e sociale attuale ponga tutti nella auto pretesa di assolvere ad una aspettativa, ovvero di alzare continuamente l’asticella del massimo livello di stress da reggere, come se fosse un allenamento senza fine destinato ad incrementare la propria capacità produttiva, in un vortice dove scivola l’autostima stessa la quale dipende sempre più spesso unicamente dai risultati raggiunti.

Se il limite ci pone ad un blocco delle nostre capacità nel funzionamento sociale, lavorativo, interpersonale, vale sinceramente la pena di scavare nella comprensione di questa forza paralizzante al fine di operare strategie comportamentali che liberino dallo stallo, ma ciò è molto diverso dal perseguire l’obiettivo di non aver alcun limite, occorre quindi cogliere questa differenza e comprenderla emotivamente in senso profondo.

Il nostro compito dunque, in una ottica evolutiva e terapeutica, diventa di accompagnare il paziente a distinguere chiaramente le forze bloccanti dai limiti da rispettare, ovvero bilanciare la propria libertà di essere su un personale e individuale punto di equilibrio, il quale è unico e speciale perché è settato sulla specificità di quell’unico individuo.

La sfida al limite è un atteggiamento tipico dell’adolescenza, e ciò racconta molto su quanto possa essere in parte disfunzionale una società che veicola continuamente messaggi come “puoi essere tutto ciò che vuoi, puoi avere tutto ciò che vuoi, non fermati mai dinanzi a niente”.

Essere adulti significa tra molte altre cose accettare e tollerare la frustrazione di avere dei limiti, non compiere questo passaggio evolutivo al contrario apre a svariate forme di sofferenza psicologica che sono ad oggi sempre più diffuse, ovvero sentirsi cronicamente insoddisfatti o inadeguati, avere importanti oscillazioni della propria autostima, sviluppare disturbi psicologici di tipo ansioso e depressivo.

Per concludere, ancora una volta è importante nel processo terapeutico l’analisi della domanda, ovvero scavare insieme al paziente se ciò che lo conduce ad iniziare un percorso di terapia sia il bisogno reale o esclusivamente quello presunto, nonostante ciò richieda del tempo è importante tanto quanto avere una bussola perfettamente funzionante mentre ci si trova a camminare senza altri strumenti di orientamento.

Bibliografia:

  • Manuale di Psicoterapia psicoanalitica breve, Maria Clotilde Gislon, 2005, Dialogos Edizioni.
  • https//it.wikipedia.org.

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