Vi siete mai chiesti quanto il nostro passato, possa influire sul nostro presente? Soprattutto quanto possa guidarci nella scelta (spesso fallimentare) del partner? Per Bowlby, la nascita di una coppia, fonda le sue radici nella capacità del partner di confermare le rappresentazioni della propria immagine di sé e degli altri e, soprattutto, la rappresentazione di sé in relazione con l’altro. Si sviluppano nella prima infanzia e vengono definiti modelli operativi interni. Tale rappresentazione, a volte, può risultare imprevedibile, dolorosa o anche assente, generando emozioni negative che ci pervadono e che non gestiamo. Tra le numerosi emozioni percepite, una più di altre è particolarmente dolorosa e destabilizzante, la “mancanza d’amore“. Essa, è la più grande ferita che si possa infliggere all’essere umano, poiché è quel porto sicuro sul quale costruire ogni aspetto della personalità, della vita di relazione e persino dell’apprendimento! In seguito a tale mancanza, gran parte delle attuali frustrazioni che viviamo ogni giorno (siano esse in ambito lavorativo, sociale o affettivo) sono il segno di una vecchia ferita mai rimarginata che rappresenta l’impronta di un bisogno d’amore rimasto inappagato. Chi da bambino ha ricevuto questa “carenza d’amore”, in particolar modo dalle figure genitoriali, troverà difficile da adulto voler bene a se stesso. Ciò accadrà indipendentemente se in futuro il soggetto riceverà amore da un’altra persona (ad esempio il partner). Infatti, la persona continuerà a percepirsi come non amato e/o non all’altezza, in quanto si è creato uno schema, attraverso il quale filtra la realtà che lo circonda. Tali schemi, definiti dalla Schema Therapy di Young, maladattivi precoci, non sono disfunzionali per la loro tipologia, bensì per la loro rigidità quando si attivano. Young individua 5 gruppi di bisogni fondamentali, dai quali si genera poi un dominio (schema) derivante dalla frustrazione del bisogno emotivo non soddisfatto:
- Attaccamento sicuro (sicurezza, stabilità emotiva, accudimento)
- Autonomia (competenza, senso d’identità, esplorazione)
- Limiti realistici e autocontrollo
- Libertà di esprimere bisogni ed emozioni
- Spontaneità e gioco
Lo schema sarà quindi formato da pensieri, ricordi, emozioni, interazioni e stati fisiologici. In risposta al non soddisfacimento del bisogno, il soggetto adotterà specifici stili di coping, che sono invece i comportamenti osservabili. Nello specifico, avremo 3 tipologie di stili, derivanti dalla gestione che attua il soggetto, in riferimento al proprio schema.
- Resa: il soggetto si arrende allo schema di sé e del mondo, non facendo nulla per modificarlo e accettandolo in maniera incondizionata. Un esempio è il soggetto dipendente, che accetta comportamenti negativi da parte del partner (violenza verbale, fisica, vessazioni ecc) che difficilmente si ribellerà allo schema (“in fondo ha ragione ad arrabbiarsi con me”, “sicuramente sono sbagliato/a”) e di conseguenza alle situazioni che vive.
- Evitamento: il soggetto mette in atto comportamenti di evitamento, al fine di non percepire le sensazione dolorose derivanti dallo schema. Un esempio è un soggetto particolarmente timido che, al fine di “evitare” la possibilità di un rifiuto da parte dell’altro, sarà riluttante nell’esprimere la propria emotività. In tal modo, otterrà inevitabilmente il tanto temuto “rifiuto”, poiché l’altro, non essendo a conoscenza delle emozioni del soggetto, adotterà un comportamento neutro, percepito da quest’ultimo come allontanamento o rifiuto.
- Ipercompensazione: il soggetto adotta specifici comportamenti per contrastare lo schema. Ad esempio, il soggetto percependosi come inadeguato, contrasterà questo schema, reagendo in maniera permalosa e/o aggressiva, ogni qualvolta l’altro esporrà una critica, un consiglio o un opinione, sul suo comportamento. Da sottolineare che seppur la presunta critica è rivolta ad un comportamento, situazione o elemento, il soggetto la percepirà come rivolta a se stesso; la frase: “Non mi piace come ti sta indosso quella maglietta rossa” verrà percepita come: “Tu non mi piaci”.
Lo stile di coping viene emesso in maniera quasi automatizzata dalla persona che avrà difficoltà nel dare una spiegazione alternativa ad un evento. Infatti, il soggetto avrà difficoltà ad adottare uno stile di coping differente, a riconoscere o modificare lo schema alla base. È come se il soggetto guardasse il mondo con un paio d’occhiali con lenti colorate, andando alla ricerca di segnali che confermino l’attinenza dell’evento percepito al proprio schema. Tenendo presente tali assunti teorici, le nostre azioni dipenderanno da:
- Quali bisogni sono stati parzialmente o totalmente frustrati durante il nostro sviluppo.
- Quali schemi su noi stessi e sugli altri abbiamo sviluppato a seguito della frustrazione dei bisogni fondamentali.
- Quali modalità di comportamento adottiamo in risposta ai nostri schemi, quindi gli stili di coping.
Riprendendo le domande iniziali, è logico supporre che anche la scelta del partner dipenda dall’interazione dei sopracitati fattori. Infatti, un bambino che durante l’infanzia ha vissuto in un ambiente privo di conforto e protezione, è altamente probabile che svilupperà degli schemi maladattivi circa la sua amabilità. Poiché i suoi bisogni fondamentali non sono stati soddisfatti, si convincerà di non essere degno di cure ed attenzioni (concetto di amabilità del sé). Oltretutto, sarà convinto che le persone con le quali entrerà in relazione, saranno altrettanto distanti come le proprie figure di attaccamento durante l’infanzia (credenza sugli altri). Ad esempio, “arrendendosi” allo schema (stile di coping “resa“), sarà molto probabile che il soggetto si legherà ad una persona emotivamente fredda e distante. Quest’ultima, avrà caratteristiche di personalità simili a quelle della figura di attaccamento del soggetto (fredda e distante). Il soggetto si aspetterà e riceverà rifiuto a quelli che sono i suoi bisogni emotivi, confermando e rafforzando di fatto, lo schema di “non amabilità”, continuando quindi a soffrirne. Nel caso in cui il soggetto adottasse la strategia dell’evitamento, si chiuderà in sé stessa e, per paura di attivare il proprio schema di non amabilità, eviterà di instaurare relazioni oppure opterà un partner che non ama realmente, così da evitare di esprimere bisogni che possano non essere soddisfatti. Se invece il soggetto adotterà l’ipercompensazione, sceglierà un partner che reputa più “debole” rispetto a lui/lei, assumendo una posizione dominante. In tal caso invertirà i ruoli, assumendo egli stesso le caratteristiche che per lui/lei sono stato dolorose, ad esempio comportandosi in maniera fredda e distante così come lo è stata la sua figura di attaccamento. Infine, lo schema potrebbe modificare la sua espressione, ciò viene definito “esperienza emozionale correttiva”. Il soggetto relazionandosi con una persona disponibile, accudente e prevedibile, potrebbe modificare il proprio schema. Ciò avviene quando viene messa in dubbio il concetto stesso alla base dello schema (sono realmente una persona non adeguata e/o non amabile?), rendendolo più flessibile e, di conseguenza, guardando la realtà con più punti di vista. In tal modo, la convinzione di non amabilità potrebbe ridursi, portando il soggetto ad instaurare un rapporto in cui, i propri bisogni possano essere accolti. Tali esempi sono puramente esplicativi, data come abbiamo visto, la complessità e variabilità di innumerevoli fattori che intercorrono all’instaurazione, automatizzazione ed espressione di uno schema. Il principio cardine che regola la flessibilità di uno schema, è che ogni cambiamento che noi sperimentiamo nasce dall’accettazione di sé stessi. Solo in tal senso, è possibile migliorare e quindi rendere più flessibile il proprio schema. Se non vi è tale accettazione, lo schema diventa rigido generando una forte autocritica giudicante. Ecco perché ci si percepisce come non amabili o non adeguati, anche quando il partner ad esempio, fornisce comunque segnali opposti allo schema. Il soggetto adotterà dei comportamenti disfunzionali per soddisfare ad esempio un bisogno di vicinanza. In seguito, il partner, percependo tale bisogno come “soffocante”, si allontanerà confermando di fatto lo schema iniziale del soggetto. In questo modo l’individuo percepirà numerose emozioni anche contrastanti fra loro, come rabbia, ansia, dolore, ancorandosi al passato e vivendolo con nostalgia. L’espressione psicologica dei vari schema, riguarda a livello clinico una moltitudine di sintomi. Essi possono riguardare disturbi di personalità, sintomatologia di natura psicosomatica (dolori articolari, emicranie muscolo-tensive, dolori gastro-intestinali), ansia generalizzata, attacchi di panico e comportamenti con scarso autocontrollo (tossicodipendenza, aggressività, comportamenti sessuali a rischio). Autoconsapevolezza e accettazione di se stessi, come abbiamo visto, sono il primo passo per il riconoscimento dello schema. In seguito, la modifica si baserà sull’innesto di nuove strategie di coping, maggiormente funzionali rispetto alle precedenti. Si fonda su questo il trattamento con Schema Therapy, adottata inizialmente per il trattamento dei Disturbi di Personalità. Essa, è una terapia integrativa che combina strategie cognitive, comportamentali, psicodinamiche ed esperienziali. Attraverso numerose ricerche (Bakos DS, Gallo AE, Wainer R, 2015. Systematic review of the clinical effectiveness of schema therapy. Contemp Behav Health Care 1: doi: 10.15761/CBHC.1000104), è stata ampiamente dimostrata la sua efficacia, anche nel trattamento di altri disturbi (depressione, disturbi comportamentali, disturbo ossessivo), soprattutto quando integrata con la Psicoterapia cognitivo-comportamentale. Tale combinazione di trattamento, non solo permetterà al soggetto di attuare nuovi e funzionali comportamenti, ma anche l’assunzione di nuovi punti di vista, maggiormente flessibili e realistici. Infine, a livello neuropsicologico, tale assunto genera nuove connessioni sinaptiche. Il cambiamento dei comportamenti (quindi degli stili di coping) e la maggiore flessibilità percettiva (quindi la modifica e la maggiore elasticità dello schema), attraverso la psicoterapia si attiveranno con maggiore frequenza. Immaginiamo che lentamente impariamo a cucire, dapprima i movimenti sono macchinosi e seguono la nostra logica. Successivamente, ci vengono insegnati nuovi movimenti e stili di cucito e, attraverso l’allenamento, i gesti diventano più armonici e naturali. Ciò crea una sorta di automatismo neuropsicologico, che andrà a sostituire i precedenti schemi iniziali del soggetto, permettendo una gestione stabile e coerente delle proprie emozioni, pensieri e situazioni.