Storie di dipendenza da gioco d’azzardo

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Storicamente il gioco tra adulti, in varie forme, ha caratterizzato ogni cultura. Il gioco d’azzardo è considerato oggi una forma di divertimento socialmente accettabile, nei suoi aspetti sociali viene praticato con amici, per un tempo limitato e con perdite accettabili. Per la maggior parte degli individui è un’attività piacevole e innocua e anche nel gioco professionale i rischi sono limitati e la disciplina è fondamentale. Tuttavia, per una minoranza di individui il gioco d’azzardo può diventare un’attività coinvolgente ma anche problematica con conseguenze negative anche gravi. L’introduzione di lotterie nazionali, la proliferazione di gaming machines, l’espansione dei casinò e l’avvento dei nuovi media che consentono di giocare d’azzardo (Internet, smartphone), hanno incrementato l’accessibilità e la popolarità del gioco d’azzardo a livello mondiale ed è aumentato, di conseguenza, il numero di persone che ricercano assistenza per problemi correlati al gioco d’azzardo, rendendo il disturbo da gioco d’azzardo un importante problema di salute pubblica.

Cos’è il gioco d’azzardo?

Il gioco d’azzardo è definito nell’enciclopedia Treccani come: “attività ludica in cui ricorre il fine di lucro e nella quale la vincita o la perdita è in prevalenza aleatoria, avendovi l’abilità un’importanza trascurabile”.

Ma quando si parla di dipendenza patologica?

Si può definire dipendenza patologica in generale: “una specifica esperienza caratterizzata da un sentimento di incoercibilità e dal bisogno coatto di essere ripetuta con modalità compulsive; ovvero una condizione invasiva in cui sono presenti i fenomeni del craving, dell’assuefazione e dell’astinenza in relazione ad un’abitudine incontrollabile e irrefrenabile che il soggetto non può allontanare da sé”.

Il disturbo da gioco d’azzardo è definito, nell’ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, DSM-5), come un comportamento problematico persistente o ricorrente legato al gioco d’azzardo che porta a disagio o compromissione clinicamente significativi in differenti ambiti di vita della persona (personale, sociale, professionale).

L’analisi della letteratura scientifica degli ultimi anni sul disturbo da gioco d’azzardo, ha messo in luce e tracciato un fenomeno sanitario complesso, frutto di un ampio spettro di determinanti e di vulnerabilità individuali che affondano le loro basi nella biologia, nella psicologia e nelle caratteristiche culturali e socio-ambientali. I dati descrivono un disturbo che determina, nel giocatore patologico, diversi gradi di compromissione della salute mentale e fisica, ed elevati livelli di disfunzionalità nelle relazioni familiari e sociali, importanti problemi finanziari e legali e frequenti difficoltà sul lavoro.

Il modello biopsicosociale elaborato da Sharpe, ad esempio, tiene conto della complessa interazione tra fattori biologici, psicologici e ambientali. Il modello prende le mosse da una prospettiva di diatesi dello stress, suggerendo che verosimilmente alcune circostanze di vita possano intervenire e innescare in alcune persone la perdita del controllo e la natura delle circostanze di vita rilevanti può variare a seconda del tipo di gioco. In momenti di stress, la persona usa il gioco d’azzardo come una via di fuga e gli alti livelli di eccitazione (stress) possono essere reinterpretati durante la pratica del gioco d’azzardo (es. eccitazione). L’interpretazione più positiva dell’eccitazione nella situazione del gioco d’azzardo si rinforza attraverso un paradigma di rinforzo negativo. Una volta che il giocatore associa al gioco d’azzardo funzioni specifiche, il comportamento si rafforza e gli schemi, che sono già sviluppati, diventano più radicati.

Perché si gioca?

Le difficoltà economiche sono ritenute la motivazione principale da donne (36,2%) e da uomini (34%), a seguire il disagio sociale (femmine 32,6% vs maschi 31,3%). Inoltre, le donne più degli uomini dichiarano che vivere un momento di particolare difficoltà possa essere un fattore scatenante (Rapporti Istisan 18/5).

Molti studi hanno confermato l’importanza della Famiglia nel trattamento della dipendenza da gioco. Molte famiglie, almeno nel periodo iniziale del trattamento, pensano che il lavoro di cambiamento debba essere a carico soltanto del loro congiunto con dipendenza da gioco; quando hanno raggiunto lo scopo di avvicinarlo ad un percorso terapeutico, accade, a volte, che deleghino completamente ai professionisti il lavoro da svolgere. La letteratura, però, descrive come la qualità delle relazioni con la famiglia e con gli amici influenza probabilmente l’inizio del gioco e la sua progressione nella patologia. Per tale ragione, uno sguardo sistemico può offrire alle famiglie la possibilità di essere coinvolte nel percorso terapeutico del “paziente designato”.

L’incontro clinico, secondo un’ottica sistemica, tende ad includere al suo interno anche i familiari del paziente e si pone come possibilità di ridefinire la crisi, a partire da un inquadramento iniziale del gioco come “malattia” e non come comportamento “vizioso” o “difetto originale” di cui vergognarsi. In questo modo è più facile che il giocatore e i suoi familiari accettino la necessità di una funzione di controllo/tutela nei confronti del gioco.

Sarà possibile, successivamente, rileggere la dipendenza come difesa dissociativa da una condizione di grossa difficoltà esistenziale o di sofferenza personale, lettura che può innescare una capacità auto-riflessiva di accettazione di co-responsabilità da parte dei familiari significativi.

Curare il sintomo (la tossicità) senza guardare alla storia che lo ha prodotto (una storia di dipendenza), è un intervento a metà.

V. Caretti, G. Di Cesare, Psicodinamica delle dipendenze, in V. Caretti, D. La Barbera, (a cura di), Le dipendenze patologiche, Raffaello Cortina, Milano, 2005.

Gli interventi di prevenzione delle dipendenze patologiche Antonio Taranto, Antonio Calamo-Specchia, Victor Laforgia.

Rapporti Istisan 18/5.

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