L’anoressia

“E’ una malattia tremenda, una tragedia che coinvolge l’intera famiglia perché si è costretti a guardare la propria figlia farsi del male, facendoci sentire impotenti” 

Sono queste le frasi che sento spesso durante la mia pratica clinica quando mi interfaccio con i genitori dei ragazzi o delle ragazze che soffrono di anoressia nervosa. Vi è alla base un sentimento di impotenza e di disperazione rispetto ad un quadro morboso molto spesso sconosciuto non solo ai genitori ma anche agli insegnanti e ai medici. 

Cos’è dunque l’anoressia nervosa e come riconoscerne i campanelli d’allarme?

Innanzitutto, è importante evidenziare come il termine “anoressia” sia improprio: anoressia significa letteralmente “assenza di appetito” ma sebbene l’ingestione alimentare sia drasticamente ridotta, ciò non avviene per scarso appetito o per mancanza di interesse nel cibo. Al contrario, chi ne soffre è assillato dal pensiero del mangiare ma condanna come vergognoso lassismo, il soddisfacimento dei suoi bisogni e desideri: il controllo dello stimolo della fame diventa, paradossalmente, fonte di soddisfazione per il paziente e ne alimenta la patologia.  L’aggettivo “nervosa” identifica invece la natura funzionale e non organica della patologia.                                                                                                                         

Oggi tale disturbo sembra essere sempre più frequente anche a causa della forte influenza dei social media: il confronto con gli stereotipi di bellezza, di magrezza sempre più proposti sembra esasperare la “fisiologica” tendenza degli adolescenti a sperimentare cambiamenti, sfidando se stessi ed i modelli genitoriali nel tentativo di raggiungere un equilibrio intrinseco ed una maggiore accettazione di sé. 

L’anoressia è dunque un disturbo psichiatrico che esordisce solitamente in adolescenza ed è caratterizzato da un peso corporeo significativamente basso, una bassa autostima, la paura di ingrassare ed un eccessivo perfezionismo. Più precisamente il DSM-5 descrive l’anoressia nervosa come una delle forme di disturbo del comportamento alimentare, sulla base dei seguenti criteri:

  1. Restrizione dell’assunzione di calorie in relazione alla necessità, che porta a un peso corporeo significativamente basso nel contesto di età, sesso, traiettoria di sviluppo e salute fisica. Il peso corporeo significativamente basso è definito come un peso inferiore al minimo normale oppure, per bambini e adolescenti, meno di quello minimo atteso;
  2. Intensa paura di aumentare di peso o di diventare grassi, oppure un comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso, anche se significativamente basso;
  3. Alterazione del modo in cui viene vissuto dall’individuo il peso o la forma del proprio corpo, eccessiva influenza del peso o della forma del corpo sui livelli di autostima, oppure persistente mancanza di riconoscimento della gravità dell’attuale condizione di sottopeso; 

Il DSM-5 inoltre distingue due diversi tipi di anoressia nervosa:

  1. Anoressia di tipo restrittivo: quando durante gli ultimi tre mesi, l’individuo non ha presentato ricorrenti episodi di abbuffate o condotte di eliminazione (per esempio vomito autoindotto o uso inappropriato di lassativi, diuretici, enteroclismi). In questo caso, la perdita di peso è ottenuta principalmente attraverso la dieta, il digiuno e/o l’attività fisica eccessiva. 
  2. Anoressia con abbuffate /condotte di eliminazione: quando durante gli ultimi tre mesi, l’individuo ha presentato ricorrenti episodi di abbuffata o condotte di eliminazione (es: vomito autoindotto o uso   inappropriato di lassativi, diuretici ecc.) 

Ma quali sono esattamente i sintomi dell’anoressia? Essi si distinguono in sintomi emotivi, comportamentali e fisici. Come già accennato, il sintomo più evidente è sicuramente il calo di peso, successivo ad una dieta, per cui inizialmente il calo ponderale non viene considerato (anche dai familiari) come un “indizio” o un segnale preoccupante. Successivamente però iniziano ad instaurarsi meccanismi mentali più patologici che portano la persona ad una insoddisfazione del proprio peso e della propria forma corporea. La persona inizia così a saltare i pasti, aumentare l’esercizio fisico, ad evitare le situazioni sociali, preferendo attività solitarie che permettano il consumo di energia.                                                                       Questa fase iniziale è caratterizzata da uno stato di euforia e dall’illusione che vada tutto bene portando sempre più ad una compromissione non solo sul piano della salute fisica ma anche sul piano delle relazioni interpersonali e sul piano scolastico/lavorativo (eccessivo impegno, rara soddisfazione delle proprie prestazioni, difficoltà di attenzione e concentrazione…) 

 I sintomi emotivi, cognitivi e comportamentali che fungono da campanello d’allarme sono dunque:

  • paura di ingrassare;
  • restrizione alimentare;
  • esercizio fisico eccessivo e compulsivo;
  • disturbi nella relazione con il proprio corpo (la persona gravemente emaciata si percepisce grassa);
  • bassa autostima;
  • pensiero rigido (controllo ossessivo sul peso e sul corpo);
  • alessitimia (deficit nel riconoscimento delle emozioni);
  • deficit cognitivi (calo nell’attenzione, nella concentrazione e nella memoria);

I sintomi fisici invece riguardano: alterazioni elettrolitiche, danni cardiopolmonari, danni alla pelle, ai reni, ai denti, edema, disturbi gastrointestinali, disfunzioni ormonali, sensazioni di freddo, indebolimento delle unghie e dei capelli ecc..). La severità di questi sintomi rende l’anoressia una malattia mortale quando sopraggiungono gravi squilibri legati alla forte denutrizione. Ecco perché è fondamentale un intervento professionale tempestivo: la terapia cognitivo comportamentale risulta essere la più efficace poiché interviene sugli schemi disfunzionali alla base del disturbo: interiorizzazione dell’ideale di magrezza, perfezionismo clinico, bassa autostima e insoddisfazione del proprio corpo.                                                                                                                                                       E’ fondamentale dunque un lavoro multidisciplinare che coinvolga più figure professionali (psichiatra, psicologo, nutrizionista, educatore…) nonché la famiglia come parte attiva e fondamentale, al fine di supportare praticamente ed emotivamente i propri figli in questo percorso così intriso di emozioni un tempo scarsamente riconosciute , accettate e gestite. 

Bibliografia

American Psychiatric Association (2014). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali.  Quinta Edizione. DSM-5. Milano: Raffaello Cortina. 

Hilde Bruch “La gabbia d’oro: l’enigma dell’anoressia mentale”. Saggi universale Economica Feltrinelli 

Christopher G. Fairburn “La terapia cognitivo comportamentale dei disturbi dell’alimentazione” Edizione italiana a cura di A. Carrozza e R. Dalle Grave. Erickson

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