Perché scegliamo un partner? I motivi possono essere diversi; dal vantaggio economico a quello organizzativo, ma anche come conseguenza di pressioni sociali.
Diversi studi però, mettono in luce come tra i principali motivi ci siano i bisogni fondamentali dell’uomo, come quello dell’attaccamento, dell’accudimento e quello sessuale. Ad ogni modo sia che si tratti di un’esigenza di sicurezza o di una progettualità procreativa quello che conta davvero è che la relazione sia basata sulla fiducia.
Per comprendere come si influenza la scelta del partner e il relativo incastro di coppia è necessario fare riferimento a due concetti quali l’attaccamento e il mito familiare.
È importante che il legame di attaccamento si sviluppi in maniera adeguata, poiché da questo deriva un buono sviluppo della persona. Se si manifestassero in età adulta stati di angoscia e depressione, è possibile che possano derivare da periodi in cui la persona ha fatto esperienza infantile di angoscia e distacco dalla figura di riferimento. Quindi, il modello di attaccamento, sviluppatosi durante i primi anni di vita, deriva dalla relazione con la figura di riferimento e influenzerà la relazione con la stessa anche durante l’infanzia. Successivamente, diviene un aspetto su cui si fonda l’assetto personologico adulto e influenzerà le relazioni e i rapporti futuri.
Tanto più è stata soddisfacente la relazione originaria, tanto più si potrà sviluppare un atteggiamento di fiducia nelle nuove relazioni. Differentemente, se è stata ambivalente, ambigua e non soddisfacente si avranno comportamenti ambigui ambivalenti o evitanti. Si possono così paragonare alle tre forme di legame di attaccamento di Bowlby come sicuro, insicuro ambivalente e insicuro evitante. (Bowlby 1969, 1973, 1980).
Mito e mandato familiare sono due concetti chiave di questo processo: il mito è un’immagine idealizzata che funge da modello di interpretazione della realtà e ha una funzione prescrittiva in merito ai ruoli da ricoprire, ai valori da perseguire, alle modalità di comportamento relazionale e alle scelte da fare (tra cui la scelta del partner); definisce cioè il mandato familiare che ogni individuo è implicitamente chiamato a portare avanti (M.Andolfi, 1987).
La scelta del partner è il risultato di una mescolanza tra il mito (con il suo relativo mandato) e la ricerca di soddisfacimento di bisogni più personali; il prevalere dell’uno o dell’altro dipenderà dalla forza di ciascuno di questi elementi e dalla relazione che una persona ha con la sua famiglia di origine (C. Angelo, 1999).
Nello scegliere il partner c’è un’attenzione selettiva “suggerita” dalla storia familiare all’ambiente esterno, diretta a cogliere specifici elementi di interesse nell’aspetto o nel comportamento dell’altro, che però spesso comporta una disattenzione, ugualmente selettiva, per altri aspetti del partner che potrebbero invece complicare la relazione o impedire il mandato familiare.
La costruzione di una nuovo legame inizia nel luogo e nel tempo della separazione dalla relazione precedente, per questo ricerchiamo, nel nuovo rapporto, sia qualcosa che ce la ricordi sia qualcosa che la differenzi; la ricerca di somiglianze e di differenze non è mai casuale, ma dipende dalla forma dei legami passati. Infatti accanto a caratteristiche ripetitive (e rassicuranti), è importante che il rapporto si dimostri adattabile ad accogliere fantasie compensatorie idealizzate, che faccia sperare di riprendere le fila di una storia interrotta prematuramente o che non ha dato risposte di sicurezza desiderate. È proprio la presenza di questi elementi di somiglianza con il passato che permette l’elaborazione delle aree di dipendenza relative ai rapporti originari: tanto più la relazione è condizionata da questi elementi tanto più costringerà al confronto con il problema originario, nel tentativo di risolverlo o trasformarlo. Questa coazione a ripetere non rappresenta un arresto dello sviluppo, ma il tentativo, ripetuto e strategicamente non efficace, di trovare una via di uscita alle difficoltà relazionali incontrate: l‘altro viene testato (dalle aree più sicure fino a quelle più insicure e pericolose) per verificare la correttezza delle proprie aspettative negative e soprattutto per trovare una via d’uscita all’impasse; la disconferma delle aspettative da parte dell’altro permette il superamento del test e, nel migliore dei casi, un passaggio evolutivo verso una forma di legame diversa dalle precedenti. (Weiss e Sampson, 1993).
Durante le terapie di coppia cerchiamo di capire cosa non ha funzionato e su cosa avrebbero dovuto lavorare per far sì che potessero funzionare adeguatamente ad esempio almeno come genitori, poiché le due cose non possono considerarsi a sé stanti. Emerge frequentemente che le coppie operino la scelta del partner sui loro attaccamenti originari.
Questa confusione di confini generazionali è un problema comune a molte coppie che arrivano in terapia dove la relazione somiglia più a quella genitore-figlio. Una relazione così strutturata su ruoli e funzioni complementari e rigide può andare avanti a lungo senza che insorgano motivi di crisi. La nascita di un figlio, ad esempio, può far esplodere il problema; la nascita di un figlio richiede una ristrutturazione dei ruoli che sia funzionale all’accudimento del bambino e questo è in conflitto con la relazione di accudimento che già esisteva tra i due partner. Nella coppia potrebbe presentarsi il forte bisogno di una mamma, e questo rappresenta il loro essere irrisolti rispetto alle figure di attaccamento. Se da un lato rincorrono il loro caregiver dall’altro hanno assecondato un’evoluzione dell’adultità e della genitorialità.
In ogni cultura, le coppie, fanno una specie di metaforica contrattazione all’inizio della relazione per determinare, non solo se ci sarà o meno il matrimonio, ma anche per stabilire le regole della relazione stessa. Jackson (1977) ha chiamato questo importante contratto, che è in gran parte sottinteso, “quid pro quo coniugale”.
“Quid pro quo”, vuol dire letteralmente, qualcosa per qualcos’altro; è un’espressione della natura legale del contratto, in cui ciascuna parte riceve qualcosa in cambio di qualcosa che dà. Jackson (1977), paragona il matrimonio a un contratto che “definisce i diritti e i doveri dei coniugi e in cui a ciascuno può essere detto di fare X perché l’altro fa Y”. In questo modo viene messo in discussione il modello della famiglia tradizionale dove i diritti e i doveri dei coniugi sono indicati dai ruoli sessuali determinati biologicamente (Walsh, Scheinkman, 1988). Secondo il punto di vista internazionale di Jackson (1977) una relazione sana presuppone un processo attivo di ricerca e definizione dei compiti relazionali attraverso la contrattazione del quid pro quo coniugale. La riuscita o il fallimento di un matrimonio dipendono dal funzionamento o meno di regole che devono essere espresse da ogni coppia in considerazione delle inevitabili differenze e somiglianze tra i partner.
Nel corso dei secoli l’amore è stato spesso descritto come una passione straziante, un legame ambivalente, allo stesso tempo oppressivo ed esaltante. Ovidio scriveva “Ego nec sine te nectecum vivere possum”, Non posso vivere con o senza di te, (Amores III, xi, 39).
Come abbiamo ampiamente descritto la scelta del partner non sempre è quella giusta e spesso giunge al capolinea. Tra i vari modelli proposti in psicologia per indicare le fasi del processo di separazione c’è quello di Bohannan (1973).
Per Bohannan le persone che si separano devono attraversare sei stadi per elaborare il momento separativo. Il divorzio emotivo, il divorzio legale, il divorzio economico, il divorzio genitoriale, il divorzio dalla comunità e il divorzio psichico.
Il divorzio emotivo rappresenta la situazione di deterioramento nella relazione di coppia, che precede la decisione della separazione. In questa fase si fa spesso richiesta di una consulenza/terapia di coppia.
Sicuramente un grande blocco avviene rispetto al divorzio genitoriale, nel quale viene ridefinita la relazione come genitori che adempiono agli obblighi educativi e alle responsabilità genitoriali, anche dopo la separazione. Questo stadio, attira tutti i rancori e i desideri di vendetta in quanto rappresenta l’unico motivo di contatto tra le parti e l’ultima possibilità di ferirsi. Molti dei litigi che avvengono in terapia sono riconducibili alle interferenze rispetto ai modelli educativi.
Il divorzio sociale, invece, prevede la rottura o l’indebolimento di alcuni rapporti significativi con gli amici comuni, con i colleghi dell’ex partner.
A fine del percorso c’è il divorzio psichico: è stato definito come “la separazione di sé dalla personalità e dall’influenza dell’ex coniuge”, ciò significa imparare a vivere senza l’altro valutando se stessi come persone indipendenti ed autosufficienti; ritrovare la fiducia nelle proprie effettive capacità.
Chi non riesce a superare questi stadi vive una situazione di malessere psicologico.
Molte coppie in terapia si chiedono ancora: ma io cosa sono per te? Tu cosa sei per me? Questo genera equivoco nei figli. Molto più spesso la domanda iniziale è la mediazione dei conflitti genitoriali, che apre in seguito lo scenario ad una possibile continuazione del percorso, come terapia per cercare di ricomporre una genitorialità scomposta, che tradisce probabilmente un bisogno ancora inappagato dell’altro.
Ciò che è importante al termine di una separazione è che entrambi gli ex partner imparino a negoziare soluzioni di compromesso eque, durature e sostenibili.
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