Atelofobia – Paura dell’imperfezione

Definizione di Atelofobia:

Tra le paure che accomunano gli esseri umani, l’Atelofobia è di  certo quella che più risente di alcune caratteristiche della attuale società, subendone dunque un inasprimento di intensità e sintomatologia.

Per Atelofobia si intende la paura intensa, e dunque limitante, di non essere mai all’altezza, di essere imperfetti in qualsiasi ambito e aspetto della propria vita: aspetto fisico, ambito relazionale, ambito lavorativo, etc.

Seppur si tratti di un vissuto esperito da qualsiasi essere umano, il grado di intensità varia tantissimo tanto da spostare l’asticella da esperienza normale a quella di disturbo di natura psicologica.

In questa ultima condizione il sentimento di perenne inadeguatezza e insoddisfazione è accompagnato dall’ansia e da altre manifestazioni somatiche come: tremore, nausea, mal di testa, stato confusionale, brividi di freddo, sino ad arrivare all’attacco di panico.

Le manifestazioni sintomatologiche di natura emotiva sono invece: rabbia, tristezza, senso di angoscia, senso di colpa, pensieri ossessivi sulle proprie imperfezioni, intensa delusione dinanzi ad un fallimento, irritabilità, bassa autostima.

Il circolo vizioso dell’Atelofobia:

La persona che sperimenta questa paura è perennemente impegnata nel tentativo di correggere ogni macchia e imperfezione, è il sentimento di angoscia che spinge verso l’aspirazione alla perfezione, il quale a sua volta accentua un aspetto di continua attivazione emotiva, agitazione, talvolta insonnia ed incapacità nel rilassarsi.

La sensazione di essere sotto pressione è perenne così come il sentimento di sentirsi perennemente oltre il limite.

Poiché gli obiettivi prefissati sono spesso eccessivi dunque difficili da raggiungere la persona sperimenterà il fallimento come una conferma della propria imperfezione, nutrendo lo stesso sentimento di angoscia che innesca il meccanismo nella fase iniziale, producendo così una spirale senza fine.

Quando tali sentimenti diventano così intensi da inficiare la vita quotidiana è utile rivolgersi alla Psicoterapia, strumento attraverso il quale cercare di spezzare la spirale sopracitata attraverso l’elaborazione ed integrazione di risorse come l’accettazione dei limiti, della imperfezione, la riconciliazione con la natura umana e con una immagine più autentica di sé e del mondo.

Influenza dei social:

L’attuale esposizione delle proprie vite attraverso lo strumento social induce ad utilizzare la modalità “vetrina”, dove ben poco spazio rimane a ciò che perfetto non è.

Osservare continuamente la falsa perfezione postata dagli altri non fa che aumentare il disagio di chi ha paura della imperfezione, aumentando il vissuto di inadeguatezza e dunque angoscia.

Chi sperimenta sulla propria pelle l’Atelofobia potrebbe utilizzare il percorso terapeutico anche come possibilità rieducativa di utilizzo e interpretazione dello strumento dei social.

Obiettivo della Psicoterapia è riportare l’emozione paura ad un livello normale, ovvero non inficiante e non limitante la quotidianità.

Concludo citando un estratto del Mito della caverna di Platone, che tanto bene, metaforicamente, si adatta ai nostri tempi:

Repubblica, libro VII, 514

Dopo tutto questo” dissi, “paragona la nostra natura, in rapporto all’educazione e alla mancanza di educazione, a una condizione di questo tipo. Immagina dunque degli uomini in una dimora sotterranea a forma di caverna, con un’entrata spalancata alla luce e larga quanto l’intera caverna; qui stanno fin da bambini, con le gambe e il collo incatenati così da dover restare fermi e da poter guardare solo in avanti,  giacché la catena impedisce loro di girare la testa; fa loro luce un fuoco acceso alle loro spalle, in alto e lontano; tra il fuoco e i prigionieri passa in alto una strada, e immagina che lungo di essa sia stato costruito un muretto, simile ai parapetti che i burattinai pongono davanti agli uomini che manovrano le marionette mostrandole, sopra di essi, al pubblico”.

“Vedo”disse.

“Vedi allora che dietro questo muretto degli uomini portano, facendoli sporgere dal muro stesso, oggetti d’ogni genere e statuette di uomini e di altri animali di pietra, di legno, foggiate nei modi più vari; com’è naturale alcuni dei portatori parlano, altri tacciono.”

“Strana immagine descrivi” disse, “e strani prigionieri.”

“Simili a noi” dissi io. “Pensi innanzitutto che essi abbiano visto, di se stessi e dei loro compagni, qualcos’altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte?”

“E come potrebbero” disse, “se sono costretti per tutta la vita a tenere la testa immobile?”

“E lo stesso non accadrà per gli oggetti che vengono fatti sfilare?”

“Si.”

“Se dunque fossero in grado di discutere fra loro, non pensi che essi chiamerebbero oggetti reali le ombre che vedono?”

“Necessariamente”.

Torniamo allo sguardo mobile, flessibile, alziamo la testa.

Bibliografia e Sitografia:

www.culturanuova.net

it.m.wikipedia.org

Platone, Repubbica, M.Vegetti, Milano, Rizzoli, 2006.

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