Marco ha un appuntamento fisso con lo specchio: i due si ritrovano faccia a faccia ogni sera.
L’incontro non avviene ad un orario preciso, ma ha inizio quando la giornata volge al termine e ogni sera si protrae per circa un’ora.
Al termine di ogni incontro Marco saluta lo specchio e ritorna alla sua vita, dopo averla sospesa per quei lunghissimi e appaganti minuti.
Lo specchio invece lo aspetta, è sempre lì, guarda passare Marco in più momenti nel corso delle giornate. A volte i due si ignorano completamente, il più delle volte invece lo specchio ammicca, attira l’attenzione di Marco, il cui riflesso sembra avere uno sguardo seducente; eppure, allo stesso tempo evoca avversione, disprezzo, induce la sensazione che qualcosa non sia al suo posto, che qualcosa debba essere corretto perché sbagliato, riprovevole, disgustoso.
Così alle volte Marco cede alla tentazione di quell’incontro anche in giornata, sempre per circa un’ora, senza che nessuno dei due tenga il tempo, semplicemente è il tempo necessario a Marco a tenere sotto controllo il difetto, a correggere lo sbaglio, ad allentare la tensione che sente aumentare nel suo corpo ogni volta che incrocia il suo sguardo riflesso. È il tempo necessario a dedicare attenzione a sé, al suo corpo, al suo volto, alla sua pelle, ma si tratta di un’attenzione malevola, l’unica di cui è capace.
In quel momento per Marco tutto il resto continua ad esistere, ma appare lontano e lui si sente come in una sorta di bolla: ogni rumore è ovattato, ogni richiamo è considerato una fonte di disturbo e un’invasione di campo, un tentativo tanto vano quanto irritante di richiamarlo alla vita. Eppure, Marco in quei momenti non ha attenzione che per sé, ma un’attenzione maldestra, l’unica di cui è capace.
Ma cosa fa Marco davanti allo specchio? I due si parlano? Certo che no, i due si scrutano e quasi sembra che si disprezzino a vicenda. È in quel frangente di immenso disprezzo per sé stesso che Marco inizia a passare i polpastrelli delle sue dita sul suo volto, mentre mantiene lo sguardo sul suo riflesso. Sotto ogni polpastrello, ad ogni lembo di pelle, Marco percepisce un difetto per lui intollerabile, una piccola protuberanza, un foruncolo, un pelo di troppo ed è così che il suo volto assume la sembianza di una pista da ballo, protagonisti indiscussi della serata sono i polpastrelli e le unghie delle dita delle mani che dopo una veloce perlustrazione della pista si scatenano in una danza frenetica e accanita, eccessiva, pungente e inarrestabile. È così che Marco si ritrova, dopo ogni incontro con lo specchio, con un senso di leggerezza interiore che lo fa sentire quasi come una piuma, ma con delle escoriazioni sul volto che sanguina in certi punti e sembra graffiato o arrossato in altri. Sono ì segni lasciati dai polpastrelli e dalle unghie sulla pista da ballo dopo la loro danza scatenata, una danza che libera e che distrugge, che alleggerisce e appesantisce, che sembra poter mettere a posto le cose che si percepivano storte e che invece finisce con il renderle ancora più evidenti.
Marco ha un Disturbo da escoriazione e un Disturbo di dismorfismo corporeo (APA, 2013).
Ogni sera ha un appuntamento fisso con lo specchio per dare libero sfogo all’impulso di stuzzicare la pelle del suo volto, alle volte cede alla tentazione di farlo anche di giorno, davanti allo specchio o alle volte anche senza, permettendo ai polpastrelli e alle unghie delle sue mani di perlustrare e poi distruggere altre piste: ora le gambe, ora la schiena, ora le braccia, ora il petto o il collo.
A volte Marco tenta di controllare questo impulso, ma il più delle volte cede.
Le conseguenze di questo cedimento gli si leggono in faccia o su qualunque altra “pista” abbia selezionato per permettere ai polpastrelli e alle unghie di danzare, liberando Marco dalla tensione accumulata e distruggendo la pelle sfregandola, spremendola, pungendola.
Marco se ne vergogna molto, non gli piace che gli altri si accorgano delle lesioni sul suo volto, a volte utilizza del fondotinta per provare a mascherarle, a volte copre la fronte con un ciuffo di capelli, spesso dispone le sue mani sul suo volto mentre parla con gli altri, un po’ per controllare lo stato delle lesioni e un po’ nel goffo tentativo di celarle.
In estate Marco evita di andare al mare, copre gambe, braccia e schiena, soffre il caldo sotto vestiti che non vorrebbe indossare e che utilizza solo per nascondere le proprie lesioni agli occhi degli altri e per evitare domande e giudizi, ma è lui il primo giudice di sé stesso.
È così che Marco si rende conto della necessità di un altro faccia a faccia, non più quello con lo specchio, ma quello con il disagio che prova, con la tensione che avverte prima di ogni incontro con lo specchio, con quella strana sensazione di appagamento mista a colpa e vergogna a seguito di ogni danza che permette, di ogni escoriazione e di ogni cicatrice che si procura.
È così che Marco inizia un percorso di psicoterapia cognitivo-comportamentale ed è così che Marco impara a prendersi davvero cura di sé e a prestare la sua attenzione alla vita.
BIBLIOGRAFIA:
- American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders DSM-5. Washington, DC: APA Press.